giovedì 19 febbraio 2009

"L'Albero del Male" di William Friedkin

"L'Albero del Male" (The Guardian). Con Jenny Seagrove, Dwier Brown, Carey Lowell, Xander Berkeley. Horror, durata 85 min. - USA 1990.

Chi mi conosce sa che amo in particolare il genere horror. E ancor più in particolare quell'horror che si fa veicolo di riflessioni – denunce - approfondimenti che, attraverso le evocazioni più profonde e talvolta inconsce, oltrepassa il genere stesso.

L'horror americano degli anni '70 è stato la nouvelle vague indipendente: firme come Romero, Craven, Hooper, Cohen e Carpenter ne erano i testimoni più esemplari. L'ufficializzazione dell'horror come genere di serie A (per serie A intendesi prodotto all'interno delle logiche delle major) l'hanno “timbrata” due registi noti che raramente hanno frequentato il genere: Roman Polanski (con "Rosemary Baby") e William Friedkin (con il grande successo de "L'Esorcista"). E su un'opera considerata minore di quest'ultimo vorrei soffermarmi: "L'Albero del Male".

Passati i fasti degli anni '70 dell'horror indipendente e politico, e passato anche il periodo ambiguo dell'horror anni '80 (che vede tra i suoi film simbolo "La Casa" di Sam Raimi), Friedkin, regista di film controversi e imperdibili come "Cruising" (con Al Pacino) e "Il Braccio violento della legge" (ma anche "Assassino senza colpa?" con Michael Biehn) torna al genere horror con questo film tratto da un libro di Dan Greenburg (nel film anche sceneggiatore con Friedkin). Vi si narra di una famigliola borghese che compra una casa postmoderna alla periferia di una grande città vicino ad un grande e incontaminato bosco. Coppia giovane, lei rimane incinta e partorisce. Nascerà un bimbo che necessiterà di cure e attenzioni costanti, ma la babysitter che la coppia trova ha un passato misterioso e malefico. Infatti è la “guardiana” di un albero demoniaco che richiede sacrifici di bambini. E la “guardiana”, che si inserisce con innocenza e morbosità nella famiglia, deve solo aspettare che il piccolo compia un mese d'età.

All'inizio degli anni '90 il cinema americano aveva una sua paranoia: l'intruso che si inserisce nella famiglia bene e scombina il quadro familiare. Pellicole come “La mano sulla culla” di Curtis Hanson, “Giochi d'Adulti” di Alan J. Pakula, “Abuso di potere” di Jonathan Kaplan e “Oltre il ricatto” di Geoff Murphy. In questo caso, però, Friedkin individua l'intruso non più come una persona in carne e ossa, un killer o un psicopatico. L'intruso è altro, è la Natura e le contraddizioni della natura umana assieme. Il film, quindi, diventa un'esperienza quasi metafisica.

Provo ad addentrarmi un po'.

Friedkin, si sa, è un regista complesso. La storia ad una prima vista sembra lineare e quasi banale sulla carta, ma ciò che conta in Friedkin è la messa in scena ed i risvolti di quest'ultima. Il film oscilla costantemente tra la favola nera e l'horror ed i suoi detrattori rimproverano al regista americano una incompiutezza di fondo. Forse. Eppure, è questo carattere ellittico del film a dare più spunti evocativi al tutto, ed è lungi da essere un film “anti ecologista” come è stato detto.

Il primo punto di forza del film sono le location e le scenografie: i protagonisti comprano una casa high-tech immersa nel verde di un bosco che arriva fino alle porte di casa. Questa casa, tutta vetri e geometrica, è il primo segno di un conflitto: quello tra volontà dell'uomo di restare a contatto con l'ambiente, la Natura, ma allo stesso tempo quella di immergersi dentro ad essa nel controllo, nei confini e nei limiti, dimostrando la sua (in)consapevolezza di superiorità (ridicola agli occhi ingenui di un bimbo, che vede la “realtà” con altri occhi -le soggettive dei neonati sono tutte in grandangolo spinto-). La Natura si sa, è anche mistero, sregolatezza, quelle “cose” che l'uomo tende ad ignorare per non perdere se stesso: preferisce affacciarsi attraverso un vetro protettivo ed assistere indifferente. Ma quando questa Natura entra in casa, nelle nostre stanze, diventa minaccia. Ed è allora che il conflitto si apre, perché la Natura non è quella dei bei romanzi d'amore, ma è anche insidia.

Certo, Friedkin (bisogna anche dire che non si è mai capito se ha riconosciuto davvero la paternità di quest'opera) sembra più abbozzare le cose che veramente approfondirle: da un lato deve accontentare il grande pubblico (e la parte, molto lunga, dell'inseguimento dei coyote nei confronti del vicino di casa dei protagonisti è magistrale), e quindi restare dentro certe regole. Eppure questo “sconfino” continuo tra favola nera, horror adulto e cinema commerciale ha un suo fascino: raramente si è visto un bosco, una natura, così (artificiosamente) illuminata da diventare incubo. E raramente si è visto un intruso così seducente, minaccioso e inafferrabile quasi allo stesso tempo (merito anche della bravura dell'attrice malaysiana Jenny Seagrove). Uno dei pochi horror d'adulti e politici che sono comparsi nel ventennio degli anni '80 e '90. Ora è finito nel dimenticatoio, purtroppo al momento neppure recuperabile in DVD in Italia.


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